TOPONOMASTICA

Chi ha il potere di decidere i nomi delle strade? E di quali monumenti e opere inserire nello spazio pubblico? In base a quali criteri vengono scelti?

 
I nomi delle vie, i monumenti, gli spazi urbani non sono neutri:

raccontano soprattutto la storia dal punto di vista degli oppressori.


Una storia coloniale, razzista, bianca, maschile, abilista e nazionalista.
I nomi delle vie, o i soggetti delle statue, sono frutto di una precisa scelta di narrazione politica che ci viene somministrata anche quando camminiamo in uno spazio pubblico.

Lottiamo anche contro la narrazione ufficiale imposta in cui siamo immerse, riappropriandoci degli spazi urbani e raccontando la storia delle persone oppresse e marginalizzate. 

4 Novembre: nulla da festeggiare!
Azione di ridenominazione delle vie del centro cittadino della Spezia.

1. Via disertori di guerra  ex Via Cadorna

Il Generale Cadorna, capo delle forze armate italiane durante la Prima Guerra Mondiale, fu sollevato dal suo incarico dopo la disfatta di Caporetto nel 1917.
È considerato il principale responsabile dell’inflessibile trattamento dei soldati nelle trincee, sottoposti a una ferrea e assurda disciplina, inviati in condizione di inferiorità tecnologica e numerica all’assalto delle linee nemiche, in missioni che si traducevano in massacri senza alcuna giustificazione militare.  Chi osava dissentire o si rifiutava di eseguire gli ordini veniva  fucilato. Frequente era il ricorso alle decimazioni, un modo efferato  per mantenere l’ordine con la paura e sacrificare a tale scopo colpevoli e innocenti. È inaccettabile mantenere la dedicazione di una via cittadina a un personaggio simile.  La memoria di chi ha agito verso i suoi stessi connazionali con metodi criminali non merita di essere coltivata.   Ricordiamo piuttosto i soldati fucilati in guerra a migliaia per il rifiuto di obbedire a ordini assurdi, per aver deciso di  disertare, per aver suscitato vere e proprie rivolte contro il cinismo incompetente dei comandi militari. Ricordiamo oggi la rivolta del Battaglione Catanzaro del 15 luglio 1916, decimato dopo essersi organizzato per resistere a ordini inaccettabili. Ricordiamo tutti i disertori di guerra, gli obiettori di coscienza che, nelle situazioni più difficili, hanno rivendicato la centralità della vita umana rifiutando le armi e la retorica militarista.  Molti di questi oscuri eroi civili oltre la pena della   fucilazione subirono l’oltraggio del disonore  e dell’oblio. A titolo di risarcimento  vogliamo oggi dedicare una via a tutti i disertori, che ieri come oggi scelgono la vita e la giustizia invece che i crimini e la barbarie.

Generale Cadorna: “Ricordo che non vi è altro mezzo idoneo per reprimere reati collettivi che quello di fucilare immediatamente i maggiori colpevoli e allorché accertamento identità personale non è possibile, rimane ai comandanti il diritto ed il dovere di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte. A codesto dovere nessuno che sia conscio della necessità di una ferrea disciplina si può sottrarre ed io ne faccio obbligo assoluto indeclinabile a tutti i comandanti”.

Testimonianza di Silvio d’Amico: “Presso un reggimento di fanteria avviene un’insurrezione. Si tirano colpi di fucile, si grida: Non vogliamo andare in trincea. Il colonnello ordina un’inchiesta, ma i colpevoli non sono scoperti. Allora comanda che siano estratti a sorte dieci uomini e siano fucilati. Senonché i fatti erano avvenuti il 28 del mese e il giudizio era pronunciato il 30. Il 29 del mese erano arrivati  i complementi, inviati a colmare i vuoti prodotti dalle battaglie già sostenute: 30 uomini per ciascuna compagnia. Si domanda al colonnello: Dobbiamo imbussolare anche i nome dei complementi? Essi non possono aver preso parte al tumulto del 28: sono arrivati il 29. Il colonnello risponde: imbussolate tutti i nomi.Così avviene che, su dieci uomini da fucilare, due degli estratti sono complementi arrivati il 29. All’ora della fucilazione la scena è feroce. Uno dei due complementi – entrambe di classi anziane – è svenuto. Ma l’altro, bendato, cerca col viso da che parte sia il comandante del reggimento, chiamando a gran voce: Signor colonnello! Signor colonnello!

Si fa un silenzio di tomba. Il colonnello deve rispondere. Risponde: che c’è figliuolo?

Signor colonnello! – Grida l’uomo bendato. Io sono della classe 75. Io sono padre di famiglia. Io il giorno 28 non c’ero. In nome di Dio!

Figliuolo, risponde paterno il colonnello, io non posso cercare tutti quelli che c’erano e che non c’erano, La nostra giustizia fa quello che può. Se tu sei innocente, Dio ne terrà conto. Confida in Dio”.

  1. Via Restiamo Umani ex Via XXIV maggio

 Il 24 maggio 1915 l’Italia entra nella carneficina della prima guerra mondiale. E’ una guerra di aggressione contro l’Impero asburgico, condotta sulla spinta della propaganda interventista che presenta come “naturale” conclusione del processo di unificazione  l’occupazione di territori considerati italiani ma che, come tutti i luoghi di confine, avevano identità plurime.

Oggi ci rifiutiamo di celebrare questa data come  fondativa  dell’unità nazionale, ottenuta piuttosto con la guerra di liberazione dal nazifascismo, vera rinascita morale di uno stato fallito. Il 24 maggio è una data nefasta, il ricordo  dell’ingresso in una guerra di aggressione che ha prodotto un milione e mezzo di vittime tra morti, feriti e mutilati. Una carneficina a cui è necessario contrapporre i valori della pace tra i popoli, dei diritti umani, dell’uguaglianza, del riconoscimento reciproco capace di andare oltre la lingua, la cultura, il colore della pelle, la religione, in nome della comune, inviolabile umanità. 


“Restiamo umani” è l’accorata esortazione utilizzata dall’attivista Vittorio Arrigoni nel parlare del tragico conflitto arabo-israeliano. Oggi facciamo nostro il suo invito per deprecare l’obbrobrio delle guerre, dei nazionalismi, dei genocidi di popoli oppressi. Oggi come  centodieci anni fa diciamo no alla guerra e alla sua violenza, sì alla pace e all’umanità: restiamo umani.

  1. Via Vittime civili di Gaza e di tutte le guerre ex Via Vittorio Veneto  

Tra la fine di ottobre e il 4 novembre 1918 l’Italia vinceva la definitiva battaglia di Vittorio Veneto, concludendo così la prima guerra mondiale. Vittorio Veneto, nella memoria collettiva, cancella l’onta della disfatta di Caporetto avvenuta un anno prima. Dal disastro alla “vittoria”. Una “vittoria” costata all’Italia più di un milione e mezzo tra morti e mutilati, tra i  quasi 10 milioni delle vittime totali. Un disastro. Giovani vite spezzate per un pugno di territori spartiti dalle grandi potenze.

La prima guerra tecnologica di massa era entrata nella storia, insieme con la morte di massa:  di soldati allora, di civili nei decenni successivi. Le  guerre novecentesche dopo la “Grande guerra” avranno come obiettivi prioritari le popolazioni civili. Non più scontri tra eserciti: il  fronte non sarà più un luogo periferico e circoscritto ma  fronte diventano  le città, le fabbriche, le campagne, le case, i corpi dei civili, gli ospedali, le scuole. La devastazione di Gaza e di tutti i teatri di guerra ne è drammatica dimostrazione:  sono i civili e non i soldati a perdere la vita in massa. Sono gli ospedali, le case, le scuole a crollare; fame e carestia sono usate come armi su larga scala, gli acquedotti vengono deliberatamente colpiti.  Si tratta dell’esito recente e spaventoso  di un fenomeno che, dagli esordi della prima guerra mondiale  arriva  a oggi, in ogni teatro di guerra.  Vittorio veneto rappresenta così una vittoria paradossale, l’agognato biglietto da visita di un piccolo regno che, a spese del sacrificio di milioni di proletari, può infine sedersi nell’anticamera della sala da pranzo dove le grandi potenze si spartiscono il mondo e ridisegnano le carte  geografiche. Le conseguenze di quella infausta vittoria furono un paese prostrato e distrutto dall’economia di guerra, una rabbia sociale capillare potenzialmente rivoluzionaria e perciò temuta da uno stato liberale in disfacimento e da una classe dirigente che non esiterà per sopravvivere ad allearsi con i fascisti e a trascinare l’Italia in una lunga dittatura sfociata nella catastrofe della seconda Guerra mondiale.

Oggi respingiamo la celebrazione di una simile vittoria  per ricordare piuttosto tutte le vittime innocenti delle guerre di ieri e di oggi.  Ai massacri, ai  genocidi, a chi utilizza le armi come volano economico, risponderemo con la diserzione e la mobilitazione permanente.