RACCOLTA DI LETTERE

RACCOLTA DI LETTERE, SCRITTI E PENSIERI RICEVUTI E PRODOTTI DURANTE I GIORNI DELL’ACAMPADA

PAROLE E PENSIERI CONTRO LA GUERRA, IL GENOCIDIO
E PER LA SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALISTA

La Spezia, 14 ottobre 2025
IL MILITE IGNOTO SI CHIAMA MIMMO

Dove sono i figli della guerra

partiti per un ideale

per una truffa, per un amore finito male?

Hanno rimandato a casa

le loro spoglie nelle bandiere

legate strette perché sembrassero intere.

( Fabrizio De André, La collina )

Il 23 ottobre 1922, a pochi giorni dal golpe che avrebbe dato origine alla dittatura di Mussolini, fu istituita come festa nazionale la memoria del “milite ignoto”, una celebrazione che i fascisti già utilizzavano per la propaganda nazionalista, l’esaltazione della guerra e per sublimare la frustrazione di milioni di reduci distogliendoli dall’indirizzarla verso i responsabili politici, economici e militari di un disastro sociale che già all’indomani della fine del conflitto era difficile chiamare “vittoria“. 

Non è un caso che da alcuni anni i governi, sempre più orientati al riarmo e alla guerra – che come ricordava von Clausewitz è la prosecuzione della politica con altri mezzi – siano tornati a enfatizzare la memoria sia di quella vittoria paradossale che dell’ignoto milite sepolto nel 1921 all’Altare della Patria, sotto la statua della dea Roma, in quello che ha rappresentato l’ultimo atto di una retorica messinscena iniziata con i toni struggenti della scelta del cadavere da parte di una madre di guerra e proseguita con il trasporto ferroviario della salma, a tappe lungo la penisola, con modalità rituali che anticipavano le processioni della Madonna Pellegrina.

Come si legge sul sito istituzionale, il Ministero della Difesa nella giornata del 4 novembre “intende celebrare il compimento dell’unità nazionale”, perseguita attraverso una guerra definita dal pontefice di allora “inutile strage”, costata sedici milioni di morti, di cui un milione italiani, e oltre venti milioni tra feriti e mutilati. Il simbolo della carneficina, suo malgrado, è il milite ignoto, l’oscuro soldatino utilizzato per celebrare i “valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi “. 

Noi pure chiniamo il capo, per motivi differenti, davanti ai resti, così spudoratamente strumentalizzati, di una vittima della guerra dei padroni di allora e dei più modesti ma non meno pericolosi reclutatori di oggi. Non siamo sicuri però che stiamo parlando della stessa persona.

Il nostro milite ignoto è un giovane bracciante siciliano di vent’anni, prelevato dai carabinieri mentre fatica nel latifondo padronale, rivestito alla bell’e meglio nell’improvvisata fureria della stazione ferroviaria del suo paese, caricato a forza su una tradotta e immediatamente spedito in prima linea, sull’altopiano del Carso. 

Si chiama Domenico, per tutti Mimmo.

La sua qualifica è: carne da cannone.

Non capisce nulla non solo della guerra ma anche della lingua con la quale gli ufficiali piemontesi lo apostrofano.

Non sa leggere, altrimenti saprebbe che il papa, dileggiato e attaccato duramente dai guerrafondai di tutti i fronti in conflitto, ha provato fino all’ultimo a fermare un’insensata carneficina.

Nessuna eco di dibattito intorno alla guerra, nessuna notizia che non fosse la cartolina-precetto gli sono mai arrivate; non ha idea di dove si trovi la Svizzera, figuriamoci se gli hanno parlato dell’opposizione socialista al massacro europeo riunita nel villaggio alpino di Kienthal.

Il nostro milite, nelle trincee condivise con i topi e gli altri cafoni come lui, è costretto a ubbidire senza fiatare a ordini insensati impartiti da comandi militari lontani, per i quali la sua vita vale meno di niente. 

Vede fucilare compagni che in coscienza non adempiono a consegne spietate o assurde. 

Trascorre lunghi mesi fraternizzando segretamente con la sentinella nemica a poche centinaia di metri dalla sua buca fangosa. 

Non sa scrivere, altrimenti sarebbe lui, e non Emilio Lussu, a narrare l’assurdità di quel massacro che inganna i poveri, scagliandoli contro altri poveri con la promessa truffaldina di ricevere, al ritorno, un pezzo di terra tutto loro.  

Se la guadagnano in tanti la terra, proprio come il fratello aviatore di Brecht: di lunghezza un metro e ottanta, uno e cinquanta di profondità.

Il nostro milite si stupirebbe nell’apprendere che in Italia c’è qualcuno che celebra ancora oggi quella “vittoria“ invece di limitarsi a un silenzioso, solenne e sentito atto di contrizione. Atto che potrebbe tradursi, alla Spezia, nel rimuovere la dedicazione di una strada del centro al generale Cadorna, un ufficiale che, se fosse vissuto ai giorni nostri, sarebbe stato perseguito dal tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra perpetrati contro i suoi stessi compatrioti. La città di Udine l’ha già fatto.

E se Mimmo, Salvatore o Vincenzo potesse parlare, direbbe alle ragazze e ai ragazzi di oggi di non credere mai alla guerra dei padroni. 

Direbbe loro che l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni. 

Raccomanderebbe ai sottoproletari delle periferie europee, ai raccoglitori di pomodori schiavi nel Tavoliere, agli adolescenti che hanno abbandonato la scuola e consegnano le pizze in motorino per quattro spiccioli, di non ascoltare le parole di chi celebra la guerra, e neppure quelle assennate della pace, se significano neutralità, perché ha imparato che la giustizia non è mai neutrale. 

Ammonirebbe di ascoltare il grido dei più poveri, la voce dei profughi scacciati a suon di bombe dalla loro terra illegalmente occupata da decenni e resa inabitabile da un disegno coloniale sfociato in un genocidio permesso e alimentato da quelle autorità che oggi celebrano la “Giornata dell’Unità nazionale e delle forze armate”; chiederebbe di dirottare le risorse utilizzate per la memoria nazionalistica della guerra in progetti di protezione della dignità di chi cammina nella neve dentro le foreste polacche o siede stipato nei barconi sul Mediterraneo, entrambi respinti da quelli che hanno generato le catastrofi da cui fuggono a milioni. 

Mimmo direbbe a ragazze e ragazzi di istruirsi, agitarsi, ​​organizzarsi, resistere, disobbedire. Direbbe loro, vestito ancora della sua uniforme di soldato semplice, di disertare le guerre che incombono e che giustificano tanta attenzione dei governi verso studentesse e studenti. 

E se proprio il governo e le amministrazioni locali intendono onorare le sue povere spoglie, alloggiate in un gigantesco e protervo sarcofago di marmo, potrebbero accordarsi per riesumarle e seppellirle definitivamente in campagna, sotto un olivo. 

E’ un albero che Mimmo, per istinto, ha sempre amato.  

La Spezia, 12 ottobre 2025

EDUCHEREMO DEI FIGLI CHE NON VORRETE

Quale scuola per quale umanità

La frase campeggia su un muro alla Spezia, località Strà, nei pressi di una scuola primaria. E’
assai probabile che sia opera di una docente, consapevole che ogni vera scuola è, per sua
natura, rivoluzionaria. Se bambini e bambine, in seguito ragazzi e ragazze, sono messi nelle
condizioni di cooperare, confrontarsi liberamente, gestire i conflitti, prendere parola e iniziativa,
non potranno che diventare donne e uomini capaci di cambiare il mondo, piuttosto che
adattarvisi.
La scuola sarà sempre meglio della merda. Sono le parole che don Milani avrebbe voluto far
scrivere sulle pareti di ogni aula scolastica. Le aveva distillate, con la precisione di un’epigrafe,
un suo alunno. Lucio pensava alle trentasei mucche nella stalla che gli toccava sconcimare
ogni mattina e intanto esprimeva con rara efficacia una buona ragione per avere cura della
scuola e coltivarne il potenziale educativo, sociale, politico, che nella remota aula di Barbiana
era così evidente da riscaldare i cuori di molti e meritarsi la feroce opposizione dei potenti,
come è ovvio che accada quando la scuola rimane fedele alla sua funzione democratica:
educare alla libertà, al pensiero critico, alla solidarietà, alla consapevolezza, alla partecipazione.
Pedagogia degli Oppressi. E’ l’opera nella quale Paul Freire descrive i modelli scolastici che
perpetuano la sottomissione alle classi dominanti. Uno dei primi atti della giunta militare che
nel 1964 rovesciò il governo democratico in Brasile fu l’arresto e l’espulsione dal paese del
maestro e pedagogista, che era stato coordinatore di una vasta campagna di alfabetizzazione
in un contesto segnato da profonde disuguaglianze e da un tasso di analfabetismo del 60%. I
golpisti con ragione temevano il pericolo costituito da masse di lavoratrici e lavoratori non più
analfabete.
La Otra Educacion es el corazon de la Autonomia. E’ il principio cardine delle scuole zapatiste.
Alunni e alunne sono immersi nella vita comunitaria da cui la scuola non li separa, piuttosto li
forma affinché sviluppino una coscienza collettiva. In Messico decenni di lotte popolari per una
scuola libera, gratuita e autenticamente democratica hanno portato a centinaia di assassinii e
sparizioni di docenti e allievi – tra i quali i quarantatré studenti della scuola rurale di Ayotzinapa –
decisi a contrastare la degenerazione neoliberista che trasforma l’educazione in strumento di
riproduzione degli interessi economici dominanti.
Istruzione e merito. Il processo di privatizzazione della scuola pubblica in Italia e il suo
progressivo asservimento al mercato sono in atto da decenni, con diversi strumenti che vanno
dal definanziamento all’ingresso di gruppi a capitale privato in progetti e organismi di scuole e
università. L’attuale ministero dell’Istruzione e del merito ha messo in chiaro la propria
impostazione ideologica sin dalla denominazione del dicastero. Istruzione è un sostantivo privo
programmaticamente dell’aggettivo pubblica, un termine che enfatizza la funzione del
passaggio di informazioni prestabilite, che riduce implicitamente la libertà di insegnamento a
una breve passeggiata in un cortile chiuso e limita l’apprendimento di saperi a trasmissione
unidirezionale dell’unico e ortodosso sapere. Merito, nella neolingua liberista, significa
selezione, con tutte le conseguenti declinazioni classiste e discriminatorie.
Ulteriori interventi normativi che colpiscono il legame della scuola con la Costituzione
repubblicana si sono aggiunti negli ultimi anni. L’alternanza scuola-lavoro normalizza e orienta i
percorsi e le competenze finalizzandoli al mercato e alle sue leggi; la militarizzazione delle
scuole, anche attraverso il protocollo d’intesa stipulato da Ministero e forze armate, eleva al
rango di formatori il personale militare la cui ragione sociale – obbedire – è l’esatto contrario di
quella di ogni scuola degna di questo nome: pensare; quote significative di finanziamento alle
scuole pubbliche sono attribuite a soggetti privati, ai cui interessi – si pensi a quelli delle
industrie degli armamenti e della comunicazione – sarà sempre più difficile sottrarsi.
Obiettare, disobbedire, disertare. Il contesto internazionale che circonda i nostri edifici scolastici
è sempre più drammatico. Una guerra per procura in Ucraina è utilizzata per giustificare il
riarmo europeo e convertire apparati industriali in crisi alla produzione bellica. Il genocidio, la
riduzione a strame del diritto internazionale, la pulizia etnica sono attuati da Israele in diretta
mondiale.
Un investimento in armamenti di circa un miliardo di euro a fronte di un drammatico
deterioramento dei servizi universali di base quali salute, scuola, servizi sociali, è stato
approvato dal Consiglio Europeo.
La crisi climatica che determina fenomeni irreversibili e prefigura scenari apocalittici non solo è
negata dalle classi dirigenti ma è accelerata dalle loro scelte.
Milioni di persone, costrette a lasciare il proprio paese in seguito a miseria, guerra, disastri
ambientali, povertà, indotti quasi sempre dai paesi di destinazione che li respingono, sono
condannate a percorsi resi illegali, incarcerate e abusate da milizie al soldo dei paesi più ricchi,
private delle garanzie previste dal diritto internazionale, lasciate morire durante il viaggio e
indicate dalla propaganda degli stati come causa delle condizioni di disagio crescente di fasce
sempre più numerose di popolazione.
Il ruolo della scuola oggi è cruciale per educare all’informazione indipendente, ai principi di
equità, solidarietà, separazione dei poteri e ripudio della guerra previsti dalla Costituzione, per
contribuire alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che “limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”.
Se le parole d’ordine dei poteri economici e politici indicano la direzione opposta, allora quelle
della scuola non potranno che rappresentare una scelta collettiva, legittima quanto lo è il
rimanere umani nella barbarie: obiettare, disobbedire, disertare; resistere, opporsi, lottare,
respingendo l’obiezione reazionaria di chi sostiene una presunta neutralità della conoscenza e
della formazione:
” (…) Vorrei ricordare che alcuni dei lavori più importanti nell’ambito di quelli che oggi sono
considerati i canoni e fondamenti delle scienze sociali e umanistiche occidentali sono frutto
degli scritti coraggiosi di studiosi che non potevano rimanere imparziali di fronte agli orribili
eventi del XX secolo. Hannah Arendt, Zygmunt Bauman, March Bloch, espulso dalla Sorbona
dal regime nazista e poi ucciso dalla Gestapo. Come si può sostenere che le proprie
responsabilità etiche, morali e politiche siano in antitesi con il proprio rigore metodologico e
disciplinare? ( Ruba Salih, docente in discipline antropologiche presso l’Università degli
studi di Bologna. Il manifesto, 7.10.2025 )


La Spezia, 4 ottobre 2025

LETTERA APERTA ALLA CITTA’

LEVIAMO LE TENDE, PIANTIAMO RIVOLTA

“Allora questa piazza tornerà ad essere solo una piazza”. 
Così ci diceva uno dei tanti bambini in piazza Palestina libera (ex Piazza Chiodo) ieri, nella giornata di chiusura dell’esperienza dell’acampada. Sì, perché dopo una settimana di riappropriazione di uno spazio pubblico questa piazza da oggi torna ad essere un parcheggio a pagamento e uno svincolo stradale. 
Care cittadine e cittadini di Spezia e non solo, vi scriviamo queste righe per raccontarvi cosa è stato e cosa vorremmo fosse ancora. A chi c’è stato, a chi avrebbe voluto esserci, a chi criticava e poi ha cambiato idea. A chi è felice che sia finita e chi ne sente già la mancanza. A chi non ne sa nulla. Quello che è successo in questi giorni rimarrà, piaccia o meno, tra le pagine di storia di questa città. E visto che pagine di storia ne vorremmo scrivere ancora tante insieme, vi dedichiamo queste righe.
Piazza Chiodo sarebbe rimasta vuota in occasione della fiera delle armi Seafuture. Uno spazio che, invece, abbiamo riempito di contenuti per trasformarlo in un luogo di discussione, cultura, organizzazione politica, incontri, socialità e cura. Dove era previsto un silenzio simile all’indifferenza, abbiamo lanciato un grido di umanità e di rabbia per una città e un mondo in cui non ci ritroviamo. In un’epoca di genocidio, guerre, violenza verbale e fisica, una manifestazione come Seafuture, in cui da anni si fa sfoggio delle armi come fossero indispensabili all’economia del paese e della città, non poteva che ricevere una risposta potente. Da questa piazza si è levato un grido che poi ha attraversato le piazze e le strade: riconvertire la produzione e gli spazi militari della città non è utopia, ma urgenza. Fermare le armi, fermare il genocidio, fermare la cultura di guerra e i ricatti morali e occupazionali per un mondo di pace è un’urgenza: nei porti, nelle fabbriche, nelle strade, nelle scuole. 
La violenza di oggi è come un veleno iniettato in decenni a dosi consistenti nelle vene dell’occidente e dell’Europa. Veleno che si traduce in indifferenza, razzismo, individualismo e disumanizzazione. La tragedia di Gaza, il genocidio in atto, le violazioni di qualunque diritto internazionale e umano in diretta social sono l’apice di un processo lungo fatto di canali umanitari mai aperti per quelle decine di migliaia di migranti, le cui morti inascoltate rendono il Mediterraneo il più grande cimitero al mondo. Violenza disumana che prepara il peggio. Violenza normalizzata come cifra della politica e del linguaggio pubblico. La guerra al posto del diritto. I ricatti tra morale e lavoro nella crisi economica in atto. Gli spazi pubblici privatizzati e militarizzati. La complicità del governo, la delegittimazione dello sciopero e il linguaggio di odio veicolato dai discorsi pubblici e dai media. 
Cari cittadini e cittadine, sono queste le urgenze e questo il senso di ingiustizia e di rabbia che hanno fatto nascere e crescere questa esperienza. 
In questa settimana di Acampada contro Seafuture ne abbiamo sentite tante. Attacchi, insulti, incapacità di ascolto. Diffidenza. Mentre il governo e parte della politica cercava di abbandonare uomini e donne che svolgevano un’operazione umanitaria definendoli irresponsabili, avventurieri velleitari, regatanti; mentre si diceva che “il diritto vale fino a un certo punto” per giustificare l’appoggio italiano allo Stato sionista, piazza Palestina Libera veniva descritta dall’amministrazione comunale come un luogo di degrado, di illegalità, causa del disagio cittadino. Falsità già ampiamente dimostrate. Miserabili tentativi spazzati via da una mobilitazione che è cresciuta giorno dopo giorno, come un ruscello che goccia dopo goccia diventa un torrente in piena. Questa è stata l’acampada, un torrente in piena, inarrestabile. Cittadini e cittadine, abitanti del quartiere che hanno dato sostegno a chi faceva vivere il presidio in Piazza Palestina, che ha portato cibo, che semplicemente si è avvicinato per un saluto. Che ha vinto la diffidenza comprendendo la portata dei temi della piazza.
Tutto questo si è tradotto nelle due giornate straordinarie di mercoledì e giovedì. Un corteo notturno, spontaneo, che diventava più grande a ogni incrocio. E poi lo sciopero generale del 3 ottobre: qualcosa di una potenza incredibile, una piazza con sindacati di base e confederale, studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici unite e uniti in un unico grande corteo.
E quindi leviamo le tende, ma non per dirci addio, ma per per restare. Questo è un arrivederci, perché le energie sprigionate in questi giorni non possono estinguersi facilmente. Perché il torrente in piena continua ad essere alimentato dalla nostra rabbia, di fronte alla disumanità e contraddizioni che ci soffocano. Perché di questo ossigeno di partecipazione dal basso che costruisce già la città, il lavoro e il mondo che vogliamo ne abbiamo tutte e tutti bisogno. 
Care cittadine e cittadini vi diamo quindi appuntamento giovedì alle 18.30 per assemblea pubblica Palestra di via Castelfidardo, piazza Brin. E poi per un evento in Piazza Brin insieme al Circo galleggiante.  
Leviamo le tende perché è giunto quel momento triste (almeno per noi) in cui andarsene da una piazza che ci ha ospitato. Aver aperto una discussione ampia e potente in città e averlo fatto con queste modalità è l’eredità più grande che pensiamo di portarci dietro e di lasciare alla città. La sensazione della forza della politica e della piazza. La forza della democrazia diretta, la forza conflittuale che muove la storia. 
Lasciamo in piazza Palestina Libera un pezzo di cuore. Ma non ci rattrista, perché il nostro cuore oggi è più grande e determinato che mai.
Grazie alla popolazione palestinese che resistendo e lottando per liberare la Palestina, ancora una volta liberano anche noi.
Grazie Spezia per le emozioni di questi giorni, grazie alla Sumud che ci ha dato coraggio, grazie per tutto quello che ci attende ancora.

 


La Spezia, 4 ottobre 2025

La meglio umanità

I numeri sono importanti ma il concetto resta che quel che si è mobilitata è la meglio umanità. L’aggettivo non è presunzione, ma una declinazione oggettiva di chi contrappone barbarie e profitti a giustizia ed uguaglianza, preludio di una pace reale, non fittizia. 10mila persone nelle strade di una città fortezza come La Spezia, che chiedono dignità ad un popolo massacrato da 80 anni, che ha subito occupazioni, apartheid, violenze di ogni genere fino ad un vero e proprio genocidio. Che chiedono di riconvertire una fiera di armi, i cui acquirenti sono regimi feudali che utilizzano le armi prodotte da noi per massacrare altri popoli. Chiedono di rompere quel vincolo centenario che mura viva un’intera città e che oggi è solo un luogo vuoto e nocivo.

Da sabato 27 settembre al 4 ottobre non è solo un fiume di numeri, ma di emozioni. Ricorre una litania che spesso si sente: dove sono i giovani? Eccoli. Li cercavate, ma in realtà volevate manovalanza acritica. Li invocavate per passare un testimone indiscutibile. Invece hanno preso in mano il nostro tempo, non si sono nascosti dietro a calcoli, opportunismi e perbenismi. Di fronte alla tragedia palestinese non ci si limita ad esprimere vicinanza, si chiede di non esportare più armi ad Israele. Alla militarizzazione del territorio non si possono chiedere solo dei tavoli, occorre che la città pretenda ciò che è stato sottratto e gli venga restituito bonificato. Di fronte al ricatto occupazionale non si limita a degli slogan, ma chiede di iniziare un percorso di riconversione.

L’acampada ha iniziato il suo percorso tra contumelie social e calunnie menzognere. Sconcertante il fatto che i fomentatori d’odio fossero niente di meno che assessori o consiglieri comunali. Come dargli torto. Nella loro incultura democratica, l’acampada rappresenta un venefico antidoto in una società individualista. Ha trasformato una non-piazza, dove l’assassino del golfo dei poeti campeggia, in un luogo di incontro, di discussione, di fratellanza e sorellanza, di umanità. Non a caso, se i primi giorni dalle auto di passaggio si sentivano sterili “andate a lavorare”, nelle ultime ore chi transitava lungo viale Amendola gridava “Palestina libera!”.

Il cerchio assembleare è un fiume di emozioni. Giovani che si sono dati anima e corpo per fare insorgere una città contro le barbarie, hanno condiviso, tra mille differenze che l’hanno arricchita, un percorso che difficilmente si può fermare. Quando sia cominciato non è dato saperlo. Forse nei locali del Camec, quando l’artivismo di Alessandro Giannetti e Murat Olol ha impresso sul muro la bestemmia laica “Demilitarizziamo La Spezia”. Forse su gli striscioni “Via la NATO dalla Spezia”. O dalle assemblee per contrastare basi blu. Nel corteo antimilitarista e antirazzista del 17 maggio, dove 4 gatti che scimmiottano il passo dell’oca sono spariti di fronte ad un fiume antifascista. Oppure nel corteo del 31 maggio, che poneva le basi per portare al centro del dibattito e della pratica la questione del genocidio palestinese in corso.

La mobilitazione spezzina ha contrapposto, con la forza delle idee, la propaganda retorica della fiera di guerra. Per la prima volta, dopo decenni, un evento che viveva di incensamenti acritici, ha visto contrapporsi una parte importante della comunità. Qualcuno potrebbe pensare che il mio sia solo ottimismo, tuttavia le dichiarazioni dei vassalli non sono più roboanti elencazioni, ma chiudono con contumeliche giaculatorie, perché il popolo non sta più a guardare.

Trovo quindi sbalorditivo che una città con questa storia debba in qualche modo “vergognarsi” per la presenza della Marina Militare o di aziende come Fincantieri, Leonardo e altri operatori del comparto. Quale sarebbe quindi, secondo chi critica, la soluzione? Chiudere queste aziende e lasciare a casa migliaia di lavoratori? Ciò che fa ancor più riflettere è che magari, tra coloro i quali criticano aspramente Seafuture, ci sono pure persone che hanno raggiunto la pensione lavorando proprio in questo settore; critiche così aspre da parte loro che risultano, francamente, davvero incomprensibili.

Stefania Pucciarelli, senatrice
(3 ottobre 2025)

La mobilitazione investe tutto il paese, ma alla Spezia la questione è ai limiti del paradigmatico. Da una città che da 150 anni è piazzaforte militare, che ha subito i più pesanti bombardamenti alleati di tutta Europa, che ha fondato la sua monocultura industriale nel militare, qualcosa scricchiola. Chi la conosce, chi la vive, chi qui lotta, si strofina gli occhi per sapere se sogna o è desto. E se ne accorgono anche i maggiordomi degli stati maggiori e dei consigli d’amministrazione della società di guerra. Banalmente, nei quotidiani, la prima notizia (e non poteva che essere oggettivamente così) è la mobilitazione. In secondo piano vanno gli affari con le mani sporche di sangue.

Il sacrificio del popolo palestinese non può e non poteva essere lasciato inascoltato. Non almeno per chi l’umanità la pratica. La concomitanza con la fiera d’armi SeaFuture ha assunto un effetto sovrapposizione degno della migliore teoria di Schrödinger. L’effetto dell’Acampada non è stato solo la mobilitazione della meglio umanità, ma ha instillato un antidoto, quello del pensiero critico. Se questa mobilitazione non si fosse palesata probabilmente una lavoratrice di Leonardo non sarebbe stata invogliata ad esprimere il suo pensiero, che è un elemento di discussione importante. Il suo sentimento ha trovato la sponda di chi, da decenni pratica i propri principi, e questo non può che essere l’inizio di un processo, che deve essere inarrestabile.

Non chiedo a nessuno di fare come ho fatto io e come me, diverse altre lavoratrici e lavoratori delle aziende militari in diverse città italiane. Ma credo sia venuto il momento di aprire un confronto e un dialogo anche con i lavoratori e le rappresentanze sindacali delle aziende a produzione militare presenti nel nostro territorio.

Giancarlo Saccani, Rete Pace e Disarmo
(3 ottobre 2025)

Giovedì 2 ottobre, all’annuncio dell’intercettazione illegale della Global Sumud Flottilla, in 30 minuti la piazza si è riempita. Cittadine e cittadini di ogni credo, passione, sentimento, sapevano che li si doveva andare. Che quello era il luogo in cui riversare la propria indignazione e la propria solidarietà. In 30 minuti migliaia di persone hanno sfilato per la città. Quando il corteo è arrivato nuovamente di fronte all’ingresso principale dell’Arsenale, un grido si è levato: “Oggi i murati vivi siete voi!”

Lo sciopero generale del 3 ottobre, forse rasenta la data storica. Chi ha memoria della città che fu dei poeti non ha dubbi. Per ricordare una mobilitazione simile occorre risalire agli anni settanta. Il corteo non si ferma. Raggiunge il raccordo autostradale. Il tabellone informativo modifica la comunicazione: Società Autostrade Liguri Toscane, Chiusura causa manifestazione. Non è finita così. Il corteo rientra in piazza Palestina Libera e quella piazza è animata, come in tutte le giornate e le notti precedenti, da discussioni, confronti, musica e socialità.

Emozioni, dunque. Un fiume. Perché la meglio umanità ha detto basta. Ha rotto gli schemi e gli indugi. Ha trasformato gli attendismi e le reticenze. Si è concretizzata, si è data corpo, ha preso i suoi spazi e li ha restituiti alla città. In un mondo che cerca il suo declino inarrestabile, se vogliamo partire dal pessimismo della ragione, la risposta di una nuova umanità ha ritrovato cuore e pratica nell’incontro reciproco di generazioni della meglio umanità. L’ottimismo della volontà non può che dire, adelante.

(da https://www.tuttosaraniente.it/2025/10/04/la-meglio-umanita/)

 

La Spezia, 3 ottobre 2025

Violenza sionista a Spezia

 

È andata così.
Mi muovevo per la manifestazione con la mia bandiera palestinese sulle spalle e il mio cartello giallo di Amnesty International che tenevo bene in vista in alto perché tutti potessero leggere cosa c’era scritto ” AFFAMARE I CIVILI È UN CRIMINE DI GUERRA”. Ogni spesso lo rivolgevo verso i marciapiedi dove tante persone guardavano, fotografavano, alcune annuivano.
Così stavo facendo arrivata nei pressi della Capitaneria di Porto, su viale Italia altezza semaforo. C’era un gruppo di 5/6 persone tra le quali una signora bionda che ad un certo punto mi gridava , rivolta al cartello ” non capisco! non capisco!”. pensandola straniera, come in effetti era, mi sono avvicinata per spiegarle il significato di quanto era scritto nel cartello. Come mi avvicino lei comincia a fare versi tipo ” BUUU BUUUU BUUUU”, che lì per lì non capendo avrebbero anche potuto essere versi rivolti a Netanyahu &Company. Invece no. Mentre ero lì, col mio cartello davanti a lei, inizia in inglese ad insultarmi gridando ” Fuck you! Shit!” a ripetizione.
Io allora, capendo bene questa volta, sono rimasta immobile con il mio cartello bene posizionato davanti a lei guardandola negli occhi. Non so neanche dire se la mia sia stata una scelta consapevole. È venuto naturale. In quella situazione si avvicina un uomo alto e grosso, parecchio esagitato, che inizia con frasi tipo ” Io sono israeliano e voi siete merde”, “morirete tutti” , ” vaffanculo merde”. cosette così. E in questo declinare complimenti mi ha con violenza, non esiste altro termine, strappato il cartello gettandolo in terra. Ho ripreso con calma il mio cartello e mi sono riposizionata ferma e tranquilla davanti a lui, guardandolo negli occhi senza sfida ma con la calma della verità. Era scritta la verità, sul mio cartello . Ha riprovato a strapparmelo di mano un’altra volta, ma questa volta mi ha trovato pronta e non c’è riuscito. Tutto questo condito dagli insulti di prima “fuck fuck shit shit you are all died”.
Si è avvicinato qualche compagno di corteo in supporto, l’uomo mentre gridava insulti era paonazzo. Occhio che ti viene un infarto, volevo dirgli, ma non gli ho rivolto parola.
Si sono quindi avvicinati due poliziotti che, avendo seguito la scena da poco lontano, hanno invitato il gruppetto sionista ad allontanarsi e anche di corsa mentre a me è agli altri compagni non hanno detto nulla, trovo questa una nota positiva.
Si tolgano dalla testa di essere i padroni del mondo, con la loro prepotenza, con la loro tracotanza, con la loro aggressività. Non nelle nostre città, non nella mia.
Spezia lo sa, da che parte stare.

Gazie ragazz* per avermi dato l’opportunità di portarvi questa testimonianza. sono in viaggio per Roma, un abbraccio a tutt*

Federica P.
Donna, Madre e, soprattutto, Umana

Postilla:
Mentre la polizia li allontanava ed erano incazzati neri, la donna bionda mi gridava “Mussolini Mussolini”, che ci sarebbe anche da ridere se non ci fosse in corso un genocidio…Baci e buona Acampada anche oggi!

 

La Spezia, 2 ottobre 2025

Si assalten la Flottilla todes al carrer

SeaFuture. Riconvertiamolo la fiera di guerra. Basi blu. Demilitarizziamo il territorio. La Flottilla è sulla via per Gaza per fermare il genocidio. Siamo l’equipaggio di terra che la sosteniene. Si assalten la Flottilla todes al carrer. Se assaltano la flottilla, tutti in strada.

In questi giorni le emozioni non sono mancate. Fino a qualche tempo fa alla Spezia succedevano cose strane. Si identificava chi metteva uno striscione dalla sua finestra con scritto “Via la NATO dalla Spezia“. Si condannava un artista per una performance, peraltro censurata in un museo pubblico. Nel silenzio, perché è la città delle navi da guerra vendute ai regimi democratici (Egitto, Indonesi, Qatar, ecc.), annegata nell’ipocrisia di dibattiti come, cosa significa bambino, genocidio o non genocidio, ma allora stai con Hamas. La città militarizzata da 150 anni, dove il lavoro era subordinato ad una forza armata, ma oggi non c’è più. C’è solo la forza armata. E i danni ambientali, le nocività, gli spazi preclusi, restano.

Dall’assemblea di domenica, dove non c’è stato un intervento che abbia toccato il cuore, seppur fatto con la mente, a mercoledì sono passati solo tre giorni. In quelle 72 ore se n’è viste di tutte. SeaFuture, la fiera di armi e di guerra ha aperto i battenti e la retorica sgorgava fine nel Lagora, il canale che separa il mondo civile dall’oblio. L’acampada ha preso vita e fin da sabato, giorno della manifestazione, è stata una spina nel fianco di chi amministra la città. Maledetti! Avete occupato la piazza, rovinando il salotto rabberciato alla spezzina con i vostri striscioni insolenti. Ora vi incolpiamo del caos del traffico.

Peccato, la realtà, attendendo l’effetto di certi stupefacenti, viene a galla. Come le figure barbine di chi fa un’ordinanza di chiusura di una piazza e poi si dimentica di analizzare il flusso del traffico che genera una fiera di guerra e di morte. Peggio di quando gioca lo Spezia Calcio. Ma quel che non si arresta è qualcosa di ben più importante: l’acampada. Cresce. Ogni giorno sempre più gente va in piazza Palestina Libera (già Domenico Chiodo), per incontrarsi, ascoltare, discutere, informarsi. I bambini giocano sotto lo sguardo delle forze dell’ordine, ignorandoli. Dipingono ,corrono, gioiscono, in una piazza che non è mai stata tale.

Piazza Palestina libera non è occupata. E’ liberata. Dal logorio della vita moderna, ma senza ricorrere al Cinar. Tralasciando battute da boomer, mi è toccato anche a me animare quell’agorà e l’ho fatto con grande convinzione. Condividere più dieci anni di battaglie dei MuratiVivi, ragionare sulla nostra città, non come accade oltre il muro, a SeaFuture. Li tutto è immobile, tutto deve restare così. Affari multimilionari di pochi, sulla pelle di tanti, giustificati dalla retorica vacua e da un diritto che si è trasformato in un’elargizione: il lavoro.

All’acampada si parla della città che fu e di come la sua militarizzazione l’abbia devastata. Si racconta che il parto delle menti, radunate oltre il muro, è tingere tutto di blu. C’è consapevolezza che quelle spese e quei costi (pubblici), sono sottratti a scuole, ospedali, diritto alla casa, servizi essenziali e via discorrendo, per interessi di privati. SeaFuture, la base tinta di blu e la necessità di demilitarizzare La Spezia per contribuire a demilitarizzare il mondo. Sullo sfondo, le prue della Sumud Flottilla solcavano le acque del Mediterraneo. Ma la terra non era ancora in vista.

Piazza Palestina Libera è piena. Si fatica a muoversi. Cala il sole, oltre il Parodi. Cala poi il sole sull’orizzonte della flottilla. Iniziano gli abbordaggi della marina genocida. 30 minuti. Partono i messaggi. La Piazza è stracolma, dilaga. Parte il corteo. Un fiume di persone si riversa in città, percorrendola in lungo e in largo. Ci sono tantissimi giovani. Io mi sento vecchio. Poi incontro con lo sguardo un ex ministro. Mi sento più giovane. Quasi 4 chilometri di manifestazione, canti, suoni. Arriva davanti alla statua di Domenico Chiodo. Palestina libera! Arsenale Libero!

In lontananza le sirene. Nessuna paura, è un’ambulanza. Il corteo si apre, come le acque bibliche del mare. Il mezzo di soccorso passa tra gli applausi, senza perdere un attimo nella sua corsa per aiutare chi ha bisogno. I conducenti non gridano “andate a lavorare”, salutano chi manifesta anche per loro. Piazza Palestina Libera torna a riempirsi e nessuno se ne va. Tutti li, e domani si va a lavorare. Ma restano li. Gioiosi di una città risvegliata, del maestrale che spazza via tentennamenti e calcoli, portando umanità e voglia di cambiare, anzi di progredire, di rivoluzionare.

Assemblea. Il giorno dopo (12 ottobre), non si celebra la scoperta dell’America. I media locali non fanno in tempo a dare la notizia. che non sono le percentuali di qualche amministratore delegato di un’industria di morte, ma che la città è insorta per restare umana e che il giorno dopo ci si mobilita ancora.
(tratto da https://www.tuttosaraniente.it/2025/10/02/si-assalten-la-flottilla-todes-al-carrer/ )

 

La Spezia, 2 ottobre 2025

Lettera di sostegno all’Acampada in Piazza Palestina Libera

Come Senza Confini APS di La Spezia, vogliamo esprimere con forza il nostro sostegno all’Acampada in Piazza Palestina Libera e alle sue iniziative. La nostra organizzazione, insieme ai suoi volontari e alle sue volontarie che hanno preso parte ad alcune delle attività, condivide pienamente i valori e le richieste portate avanti da questo presidio.

Crediamo che la costruzione di un futuro giusto e dignitoso non possa prescindere dalla lotta contro le guerre, la produzione e il commercio di armi e ogni forma di oppressione. Per questo siamo al fianco di chi, con coraggio e determinazione, porta in piazza la voce della solidarietà internazionale e della giustizia sociale.

Ringraziamo tutte le persone che, con la loro presenza, il loro impegno e la loro passione, hanno reso possibile questo spazio di resistenza civile e di speranza collettiva. Un ringraziamento particolare va anche alla Flotilla e a tutte e tutti coloro che, nei diversi luoghi del mondo, continuano a battersi per la libertà del popolo palestinese e per un futuro senza armi, guerre e genocidi.

Come associazione, restiamo pienamente disponibili a prestare aiuto in qualsiasi modo l’Acampada ritenga necessario, mettendo a disposizione il nostro lavoro e le nostre energie associative.

Con gratitudine e impegno rinnovato da parte di tutti i nostri membri.

 

Cordiali Saluti,

Il Presidente – Niccolò Ichestre

La Spezia, 1 ottobre 2025
LETTERA AI VICINI

Siamo i vostri concittadini e le vostre concittadine che da qualche giorno sono anche i vostri vicini di casa.

Siamo consapevoli che la nostra presenza può creare qualche disagio e con queste poche righe vorremmo comunicarvi perché siamo qui e quali sono le ragioni che ci spingono a restare in questa piazza.

Fino al 2 ottobre dentro quell’Arsenale che ci troviamo di fronte si terrà una fiera bellica navale, dove le marine militari di svariati Stati (tra cui diversi Israele, Egitto, USA, Libia etc), tra cene di lusso e incontri tra governanti, si occuperanno della compravendita di quegli stessi sistemi d’arma che uccidono migliaia di persone nelle più di 60 guerre attualmente in corso nel mondo. Persone, civili come noi, con la sola colpa di essere nate dalla parte sbagliata di un confine, vittime di guerre e genocidi.

Militari che compreranno e venderanno quelle stesse armi che produciamo anche noi qui a Spezia, e che partono dal nostro porto. La guerra comincia da qui, accanto a casa nostra e qui vogliamo fermarla.

Stiamo anche sostenendo la missione umanitaria della Flottilla, che sta cercando di portare aiuti umanitari alla popolazione stremata di Gaza, un piccolo pezzo della nostra Terra dove da più di 600 giorni ogni giorno muoiono 24 bambini.

Noi siamo qui, siamo l’equipaggio di terra, crediamo che non sia possibile assistere in diretta al genocidio di un intero popolo senza fare nulla; con le forze che abbiamo vogliamo sostenere chi ha deciso di rischiare la propria vita imbarcandosi sulle navi della Flotilla.

Confidiamo nella vostra comprensione e ci piacerebbe anche rapportarci con voi; niente è quello che stiamo facendo se pensiamo ai bambini, alle madri, ai vecchi che esattamente come i nostri figli, le nostre madri, i nostri vecchi sono intrappolati tra bombardamenti, fame e sete.

Capiamo che per voi possa essere un disagio e vorremmo invitarvi a scendere nella nostra/vostra piazza a condividere un momento con noi, a mangiare qualcosa insieme, a bere un caffè o un bicchiere di vino.

Noi stiamo qui perché ci sforziamo di fermare la violenza e la guerra e crediamo che la guerra debba essere messa fuori dalla storia.

Vi aspettiamo!

L’acampada di Piazza Palestina libera

La Spezia, 1 ottobre 2025
(dal profilo social)

Leggo in questi giorni i commenti sotto le testate giornalistiche online della mia città.

Ecco, il post è rivolto anche a chi quei commenti scrive, a chi impreca contro i nullafacenti, le zecche rosse, i sinistri che presidiano una piazza chiusa per ordinanza comunale e per lo svolgimento della fiera delle armi, non per il presidio.
Ma è rivolto soprattutto al fior fiore dei cittadini, quelli che forti dei loro titoli di studio e dei loro club, neanche hanno idea di come si svolga il presidio e di quanta bellezza civica ci sia lì dentro.
Fate un favore a voi stessi e a voi stesse, passate a guardare da lontano, come più volte al giorno fanno i membri di Casapound.
Scoprireste una realtà fatta di giovani e anziani, di lavoratrici e lavoratori ( incedibile, lavoriamo anche noi!), un mondo di persone che ha fatto del suo tempo LIBERATO e non libero, una scintilla per accendere la possibilità di una città migliore e un cuore che batte all’unisono con i nostri concittadini che navigano in pace, su acque internazionali, rischiando la vita anche per voi, che tra un caffè e una brioche nel bar più IN della città, giocate a fare i politologi del giorno, sputando sentenze su chi prova almeno a costruire una possibilità di resistenza.
Che resistenza non vuol dire per forza comunismo.
Vuol dire buonsenso, umanità, espressione di una volontà collettiva che si rifiuta di tacere di fronte allo scempio di una fiera di armi organizzata in un momento storico in cui quelle armi compiono gli ultimi atti di un genocidio.
Passate a vedere professori che aiutano i ragazzi dei licei, maestre della scuola dell’infanzia che creano laboratori per bambini, librerie che donano libri nuovi a costo zero, artisti che offrono musica, cittadini che consegnano torte calde e gelato artigianale, che fanno del mutuo aiuto l’arma più potente di tutte.
E venite a vedere i nonni che alle sei del mattino portano la colazione ai nipoti e vengono abbracciati da tutti.
Di cosa avete paura in fondo, con tutti i poliziotti che abbiamo intorno?
Dei professori di liceo?
Dei nonni dal passo fragile?

O di capire che avete ancora poco, pochissimo tempo, per mettervi dalla parte giusta della storia?

 

La Spezia, 1 ottobre 2025

 

Risposta alla grafica “scrivi una lettera alla Acampada”

Io non sono brava a scrivere e penso che non serva aggiungere altre parole quando c’è gente più brava di me che le sa usare bene
“Mentre ci raduniamo questa sera, celebrando vita e speranza, Israele continua a distruggere, a uccidere e ad occupare terre in Palestina.
In questo stesso momento, molti palestinesi stringono tra le braccia i loro cari in tende di fortuna.
In Gaza, più di 65.000 persone sono state uccise dal fuoco israeliano; 20.000 di esse sono solo bambini, e molti sostengono che il numero reale sia orribilmente più alto.
Ogni vita è un universo che non tornerà mai più.
I palestinesi continuano a soffrire mentre i nostri governi chiudono gli occhi, o peggio ancora sono complici: commerciare armi, ospitare funzionari israeliani, criminalizzare chi lotta contro il genocidio.
Questa crudeltà non è cominciata 700 giorni fa.

Per quasi un secolo, il popolo palestinese ha vissuto sotto il peso di un brutale progetto coloniale d’insediamento, di un’occupazione perpetua giustificata come “sicurezza”, imposto da un regime di apartheid.
La responsabilità del mondo occidentale è particolare: la Gran Bretagna ha piantato il seme di questa catastrofe con la Dichiarazione Balfour promettendo una terra che non le apparteneva.
Non sto negando l’orrore che ha colpito il popolo ebreo in Europa, né il bisogno di proteggerlo. Ma perché questa protezione è stata concessa a spese di un altro popolo che non aveva alcuna responsabilità nei crimini dell’antisemitismo europeo?
I palestinesi non hanno colpe da espiare.
Smettetela di aspettare; organizzatevi, protestate, pretendete di più dai vostri rappresentanti.
Il cambiamento arriverà solo attraverso l’azione.
La Palestina sarà libera, e tutti noi saremo liberi.
Saremo più uguali e più umani.
Ma oggi, arrendersi non è un’opzione.
Non ce lo possiamo permettere.

Allora iniziamo da qui, insieme.
Grazie.” (Francesca Albanese, Together for Palestine)
Per cui io ringrazio l’Acampada e soprattutto la Global Sumud Flottilia per fare quello che noi vorremmo ma che forse non abbiamo il coraggio o l’intraprendenza di fare.
Denunciamo la guerra cominciando da casa nostra.
“Le nostre rivendicazioni non hanno smesso di esistere dopo il corteo, anzi abbiamo raccolto ancora più forza ed energia.”
In questo momento così difficile resistenza, ora e sempre.

Forse troppo lunga…descrive però esattamente quello che provo💔


La Spezia, settembre 2025

 

Domenico Chiodo è stato l’ingegnere del Genio che ha progettato il nostro Arsenale, quello di Taranto e in parte quello di Venezia.

Morì dopo avere contratto la malaria in occasione dell’inaugurazione del Canale di Suez.

Sono figlio di Arsenalotti e da Porta Principale, da Porta Sprugola, da Porta Ospedale e da Porta Marola ho visto uscire per anni migliaia di operai come mia madre che portavano a casa il pane per i loro figli.
Senza l’Arsenale e senza Domenico Chiodo la nostra città sarebbe priva di gran parte della sua storia e identità.

Ma mi riesce difficile pensare che quegli operai, quella marea di gente che lavorava in Arsenale troverebbero vandalico esporre sulla statua di Chiodo la bandiera di un popolo annientato dalla violenza di uno sterminio, di un genocidio.

No, non mi scandalizza quella bandiera su quella statua, non c’è oltraggio, anzi.

Ci vedo tutta la mia Città, anzi tutta la storia e tutta l’anima più bella della mia Città.

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